Dieci anni fa, il 29 gennaio 2010, il governatore della Regione Campania Antonio Bassolino inaugurò l’Auditorium Oscar Niemeyer. Per tre giorni consecutivi 5.000 persone si avvicendarono per assistere a una fitta serie di eventi: concerti di Salvatore Accardo, del San Carlo, di Lucio Dalla, di Nicola Alesini; una serata di danza classica; tre grandi mostre sulle opere di Niemeyer; altrettanti dibattiti sul rapporto tra turismo e beni culturali; una parformance di Oliviero Toscani; un film tridimensionale per i bambini; la presentazione di un volume che illustrava tutta la fase progettuale e costruttiva dell’auditorium; una cena offerta dai 23 chef stellati della regione. Il tutto fu finanziato con 500mila euro dalla Regione, che fornì un prezioso supporto organizzativo coordinato da Antonio Oddati.
Nel mio intento il convergere di tanti eventi in un breve arco di tempo, oltre a sottolineare l’importanza del capolavoro architettonico di cui Ravello si dotava, doveva dimostrare due cose: 1) che l’Auditoriun non è un contenitore destinato esclusivamente alla musica ma un centro polifunzionale capace di ospitare – al riparo dalle inclemenze climatiche – concerti, convegni, conferenze, assemblee, film, mostre, campionati di scherma e di danza classica, e tante altre cose ancora; 2) che Ravello, grazie all’Auditorium, può essere un paese attrattivo d’inverno come d’estate, superando l’atavica stagionalità e valorizzando per dodici mesi quella straordinaria dotazione di alberghi e strutture ricettive che ora resta inutilizzata per tutto il periodo invernale. In cuor mio speravo che durante quei tre giorni dell’inaugurazione piovesse e facesse freddo per dimostrare a tutti quale irresistibile richiamo può esercitare Ravello anche in pessime situazioni climatiche se, alla bellezza dei luoghi, struggenti anche d’inverno, aggiunge la forza seduttiva degli eventi culturali.
La mia insistenza sulla de-stagionalizzazione è dovuta alla semplice constatazione sociologica che il deserto invernale in cui cade Ravello costringe i giovani a emigrare, per cui un numero purtroppo alto di genitori ravellesi si ritrova a trascorrere la vecchiaia in solitudine, mentre i figli svolgono, lontano dalla propria terra, quei lavori che, valorizzando anche i mesi invernali, potrebbero essere creati a Ravello.
Dopo l’inaugurazione furono svolte due ricerche di mercato. Una, a titolo gratuito, con i giovani che frequentavano la “Scuola di management culturale”; l’altra, pagata dal Comune e commissionata a Federculture. Entrambe dimostrarono, dati alla mano, che l’Auditorium rappresenta un efficace volano economico consentendo a Ravello di diventare ciò che al Nord è Cernobbio e al Sud è Taormina: un centro che, all’attrazione di eventi musicali e culturali, può finalmente unire quella di congressi medico-scientifici, meeting sportivi, convention aziendali, associative, politiche e sindacali.
Sarebbe stata sufficiente una convention aziendale alla settimana per dare lavoro fisso a una quindicina di giovani e rilanciare l’occupazione invernale degli alberghi, delle strutture extra-alberghiere e del commercio locale. Si consideri che in Italia si tengono circa 10.000 convention all’anno e che Ravello potrebbe diventare anche un prestigioso “convention bureau” per la promozione territoriale, capace di offrire tutto il supporto pubblico-privato necessario nelle diverse fasi dell’organizzazione e della gestione di eventi.
Dunque l’Auditorium, lungi dall’essere un peso finanziario per il Comune, poteva diventare un motore economico sia per il Comune che per l’intera comunità.
Ma per fare cultura ci vuole cultura e per fare management ci vogliono i manager. Perciò creai la “Scuola di management culturale” nella quale si iniziò a formare un gruppo di giovani ravellesi che avrebbero saputo gestire l’Auditorium e il suo indotto con professionalità e profitto. Negli anni successivi la Scuola è stata chiusa, il progetto di valorizzazione dell’Auditorium è stato accantonato, l’edificio è stato abbandonato a se stesso.
Si può ben capire che un piccolo Comune non abbia le risorse finanziarie e professionali per avviare un’impresa come quella relativa all’Auditorium. Perciò il 3 settembre 2009, in qualità di presidente della Fondazione Ravello, firmai una dichiarazione di intenti, controfirmata dall’allora sindaco Paolo Imperato e dal Governatore della Regione Antonio Bassolino. In essa il Comune si impegnava ad affidare la gestione dell’Auditorium alla Fondazione e la Regione si impegnava a contribuire all’inaugurazione e all’avviamento dell’Auditorium con 2 milioni di euro.
Un mese dopo, il 2 ottobre 2009, la dichiarazione di intenti fu trasformata in comodato d’uso firmato dal Sindaco e dal sottoscritto, in presenza di Bassolino. Con esso la Fondazione si incaricava di manutenere e gestire l’Auditorium e di pagare al Comune 150.000 euro l’anno. Il Comune avrebbe potuto utilizzare l’Auditorium gratuitamente tutte le volte che ne avesse fatto richiesta. Ma, poco dopo, il Comune si rimangiò unilateralmente il comodato che il sindaco aveva firmato. Ed ecco il risultato: in questi dieci anni il Comune ha perso 1,5 milioni di euro; dei 2 milioni assicurati dalla Regione per l’inaugurazione e l’avviamento dell’Auditorium, 500.000 furono spesi per l’inaugurazione e 1,5 milioni rimasero alla Regione. In sintesi, sono stati buttati via 3 milioni di euro.
Immagino che il Comune rinunziò a vantaggi così evidenti nella presunzione di manutenere e gestire autonomamente l’Auditorium. L’esito di questa politica è sotto gli occhi di tutti: la mancanza decennale di manutenzione ha ridotto l’edificio in pessime condizioni, con grave danno per l’immagine di Ravello; il festival invernale che avevo in progetto non è stato realizzato; ogni anno la mancata destagionalizzazione lascia inutilizzato per molti mesi un patrimonio alberghiero e commerciale di immenso valore; il deserto invernale induce i giovani all’emigrazione.
Ma, proprio per supplire alle lacune amministrative, era stata creata la Fondazione Ravello che ha come compito statutario quello di valorizzare i beni culturali ravellesi. Purtroppo, come spesso succede nel nostro Mezzogiorno, quelle che dovrebbero essere due forze, invece di sommarsi si sottraggono. Sta di fatto che neppure la Fondazione, benché abbondantemente finanziata dalla Regione, sia riuscita a ottenere dal Comune la gestione dell’Auditorium per manutenerlo, usarlo e valorizzarlo.
In sintesi: quello che poteva essere il fiore all’occhiello della Ravello postindustriale, affiancandosi agli altri capolavori architettonici ereditati dai secoli passati, è diventato un visibile monumento al deficit di cultura e di imprenditorialità. Ora l’Auditorium rischia di fare la fine del ponte Morandi, a meno che San Pantaleone non faccia un miracolo.