(Adriano Cosentino)
Il nome Gaiola deriverebbe dal latino cavèa nella sua forma diminutiva caveòla, che presenta un duplice significato. Il primo di cavità, recinto o gabbia; l’altro è orientato alll’etimologia di cavèa = parte del teatro dove seggono gli spettatori, con riferimento alla cavèa della vicina casa del crudele e ricco Publio Vedio Pollione, attivo sotto l’impero di Ottaviano Augusto.
Il termine latino sarebbe passato alla forma dialettale caviòla ed, infine, a gaiòla per intendere “piccola grotta”.
In origine l’isola era conosciuta con il nome di Euplea (Afrodite Euploia, patrona della navigazione) per un tempio dedicato alla dea, come testimonia Jacopo Sannazaro: Pausylipus totidem vitreis Euploea sub undis servat adhunc (Posillipo conserva tuttora altrettante Euplea sotto le sue onde limpide).
Il tratto di Costa compreso tra il porticciolo di Marechiaro e l’insenatura di Trentaremi è da sempre ammantato da un’aura di mistero.
Già in epoca classica, la bellissima costa di Posillipo solleticava l’immaginazione degli abitanti della città di Napoli per la presenza a breve distanza del Palazzo degli Spiriti, antica dimora dell’imperatore Adriano e della villa del ricco Pollione, del quale si vociferava amasse gettare gli schiavi più inetti alle murene che allevava attorno agli isolotti della Gaiola.
Durante il periodo medievale si riteneva che le strutture di epoca romana semi sommerse attorno alla Gaiola facessero parte della Scuola di Virgilio. Mitico luogo questo dove il poeta-mago iniziava i suoi discepoli alle arti magiche più oscure e insegnava loro l’arte di preparare pozioni. Un giorno gli intrugli caddero in mare, dando luogo ad un potente maleficio che si abbatté su chiunque si trattenesse sull’isola per troppo tempo.
Quindi, la serie di sfortunati eventi che ha colpito i proprietari dell’isolotto, avrebbe le sue radici in questo “magico” episodio, motivo per cui lo specchio d’acqua prospiciente, inquinato da tanta malvagità, conserva ancora oggi una carica negativa.
Nuovo slancio alle leggende sulla Gaiola lo hanno dato in tempi più o meno recenti le tragiche vicende di cronaca nera che hanno interessato gli sfortunati possessori della Villa che sorge sull’isolotto omonimo.
All’inizio del XIX secolo, l’isola era abitata da un eremita, soprannominato “Lo Stregone”, il quale viveva dell’elemosina dei pescatori.
La maledizione della Gaiola ha inizio nel 1820. Il Regio Ingegnere Guglielmo Bechi, archeologo, acquistò l’area del Pausylipon ad un asta, riportando alla luce antichi edifici di epoca romana. Decise di costruire una villa panoramica sul promontorio prospiciente l’isola e, nel farlo, incluse sia una cappella dedicata a S.Basilio sia alcuni ruderi romani adiacenti.
Alla sua morte, nel 1871, la figlia decise di vendere i beni a Luigi de Negri. Verso la fine del XIX sec de Negri, che nel 1874 costruì la villa sull’isolotto, mandò in fallimento la sua Società della Pescicoltura del Regno d’Italia nel Mar di Posillipo che aveva sede proprio alla Gaiola. Quando l’imprenditore finì sul lastrico, l’intera proprietà fu acquistata dal marchese del Tufo che fece danni archeologici inestimabili. Il marchese scavò una cava di pozzolana proprio tra villa Bechi e lo Scoglio di Virgilio, come ricorda Robert Theodore Gunther nel suo libro Posillipo Romana.
La proprietà passò poi a Gennaro Acampora e successivamente all’ammiraglio inglese Nelson Foley, cognato di Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes. Foley cedette la villa sulla terraferma a Norman Douglas da cui la riacquistò dopo alcuni anni.
Infine fu la vedova Foley a vendere al senatore Giuseppe Paratore la villa sulla terraferma nel 1910.
Augusto F. Segre, affezionato nipote del senatore Paratore racconta (Storie e ricordi della Gaiola 2003) che verso la metà degli anni 1960, levata una tela anti-umidità posta da Douglas, apparve un affresco quadrato raffigurante una grande testa terrificante di più di un metro di larghezza, forse raffigurante una gorgone. “Nostro zio, convinto che quel volto mostruoso portasse sfortuna, lo fece nascondere dietro una parete a matton per ritto”, racconta nell’articolo (Sen. Paratore campò fino a 91 anni e forse non si sbagliava – v. assassinio Ambrosio – ndr).
Nel 1911 il Capitano di Vascello, marchese Gaspare Albenga, per far ammirare la costa alla marchesa Boccardi Doria, fece incagliare l’incrociatore corazzato San Giorgio sulla secca della Cavallara, proprio in prossimità della Gaiola.
Nel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania.
Nel 1931 una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta dalle onde sullo stesso scoglio della Cavallara.
Maurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola negli anni 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta.
Qualcuno cercò di cambiare la fama sinistra della villa. Il barone tedesco Paul Karl Langheim negli anni a cavallo del 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Un periodo tanto splendente da mandarlo rapidamente
sull’astrico.
Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa, lasciandola generosamente ancora per qualche tempo in uso a Langheim.
Ci andò di rado e la rivendette rapidamente ad un altro miliardario, Paul Getty, magnate del petrolio, nel 1968.
A lui tutto filò liscio fino al 1973, quando la ‘ndrangheta gli rapì il figlio e gli amputò un orecchio. La famiglia Getty pagò un riscatto di 17 milioni di dollari.
Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, detto Ninni, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta la moglie, Pasqualina Ortomeno, morì in un incidente stradale.
In tempi assai recenti, l’efferato delitto Ambrosio ha riacceso l’immaginazione popolare riguardo la Jattura della Gaiola dando nuovo slancio ai racconti orrorifici sempre diversi e ricchi di particolari che ovunque circolano.
(P.S.: Trentaremi deve il suo nome non alle antiche imbarcazioni romane a trenta remi che un tempo vi facevano sosta, bensì al prezzo di un carico di tufo estratto dal promontorio di “pietra tagliata” che veniva caricato su apposite chiatte al prezzo per l’appunto di “tre tareni” poi diventato nel linguaggio comune Trentaremi)
fonti:
- Leggende e Superstizioni Napoletane, di Ruggero M. Savarese – Edizioni Savarese.
- Misteri, segreti e storie insolite di Napoli, A.Palumbo – M. Ponticello, Newton Compton Editori.
- Napoli Retrò
- LaCooltura.com – Giovannina Molaro
- Gialli.it
-Vari siti