Se c’è una città che ha avuto una storia intensa e tumultuosa, questa è Napoli: da sempre un crocevia popoli e di culture, nonché l’oggetto di svariate dominazioni da parte di popolazioni straniere. Tutte queste dinamiche hanno influito enormemente sulla formazione del suo dialetto sedimentando in esso le impronte dei passaggi che nei secoli si sono susseguiti.
A partire dalla prima epoca, quella greca. Com’è noto, Napoli fu fondata dagli antichi greci, nel VI secolo A.C. E quella greca è una matrice che si ritrova ancora oggi in molti termini del vernacolo partenopeo. Pazziare, ad esempio, che in Italiano vuol dire giocare, deriva dal greco “pàizein”. E paccaro, che vuol dire schiaffo, deriva dal greco “pasa cheir”. Profonda è stata poi l’influenza del latino (nel 326 a.C la città diventò una colonia dell’impero Romana), la lingua parlata dai napoletani fino al 1200 circa. Dal termine latino“intras acta”, ad esempio, deriva la parola napoletana ‘ntrasatta (improvviso). Ed è proprio nel XIII secolo che il dialetto napoletano (così come anche gli altri della penisola italica) comincia a prendere forma.
Le successive dominazioni hanno poi fatto il resto. Ajére, che in Italiano vuol dire ieri, deriva dallo spagnolo “ayer”. Canzo, che vuol dire tempo (a Napoli diciamo damme ‘o canzo, cioè dammi il tempo), deriva dal francese “chance”. La parola tamarro (zotico), deriva invece dall’arabo “al-tamar” (mercante di datteri). Di origine inglese è poi nippolo (pallina di lana): deriva da “nipple”. Nelle sue svariate variazioni, il napoletano viene parlato in una buona parte del sud Italia: Campania soprattutto, ma anche Abruzzo, Lazio meridionale, Molise e nelle parti alte della Puglia e della Calabria.
Ma quante persone parlano il napoletano? La stima è di una popolazione di circa 11 milioni di persone. Questa cifra, che già colloca il napoletano al posto numero 77 delle lingue più parlate del mondo (prima di idiomi come lo Svedese, il Bulgaro e il Ceco), non tiene però conto degli emigranti sparsi nel mondo: Canada, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Belgio, Francia e Portogallo. Molti termini napoletani sono poi divenuti universali, conosciuti in ogni angolo della terra abitato; e questo grazie, soprattutto, alla canzone classica napoletana.
Capitolo a parte merita ovviamente la città di Napoli; e ancor di più forse la sua provincia. Qui il napoletano è la vera e propria lingua madre. Qui il napoletano viene usata quanto l’Italiano; anzi di più e al posto dell’italiano! Questo accade soprattutto nei rapporti informali, quelli con le persone affettivamente più vicine: la famiglia, la fidanzata, gli amici. Durante un corteggiamento tipico, ad esempio, un giovane napoletano si rivolgerà in italiano alla sua “preda”, ma solo per fare colpo su di lei. Dopo pochi giorni, entrando in confidenza, si lascerà andare e tornerà alla sua lingua madre: il napoletano. Il fatto è che molti napoletani pensano in dialetto e quando parlano in Italiano lo fanno effettuando una sorta di traduzione napoletano/italiano in tempo reale; una cosa che a ben pensarci non è da tutti!
A volte, però, i risultati non sono proprio esaltanti. Ad esempio: invece di dire “Ho vergogna”, qualcuno dice (pensando che sia la forma corretta) “Mi metto vergogna”, traducendo letteralmente l’equivalente napoletano che è Me metto scuorno. Analoga è la frase italianizzata “Mi prendo collera”, che è la traduzione di Me piglio collera.Un altro contesto della vita dove a Napoli il dialetto è d’obbligo è poi quello dello scontro verbale: nessuna lingua al mondo può, nemmeno minimamente, paragonarsi al vernacolo napoletano in fatto di offese ed improperi; vuoi per ricchezza del lessico che per creatività delle metafore usate nelle espressioni.
Ma il napoletano non è solo regole grammaticali e pronuncia, ma piuttosto un linguaggio che va anche vissuto, interpretato, recitato. Innanzitutto, il napoletano non si parla, si urla. E’ strano, lo so, ma noi napoletani abbiamo l’abitudine di alzare la voce quando parliamo (il che può dare anche abbastanza fastidio). Una consuetudine dovuta forse al fatto che per secoli abbiamo vissuto a stretto contatto con una moltitudine di persone.