Cultura: La leggenda di Re Artù, tra storia, mito e letteratura.

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Che cosa sappiamo di certo in merito alla figura leggendaria di Re Artù?

In realtà conosciamo poco o niente, eppure il personaggio è ben noto alla letteratura, alla cinematografia ed al costume, al punto da entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo non solo degli appassionati di storia e di argomenti esoterici, ma soprattutto della gente comune.



Non è semplice fare chiarezza tra i numerosi e diversificati racconti proposti dai molti autori che si sono susseguiti attraverso i secoli, ciascuno sovrapponendo elementi e protagonisti nuovi alle vicende originarie, per la verità nebulose ed avvolte dal mistero. E, pertanto, credo che l’approccio giusto per affrontare lo straordinario mito di Re Artù e dei suoi compagni, conosciuti come i “cavalieri della tavola rotonda”, sia quello di interpretarlo come una fiaba ricca e significativa, cercando nel contempo di individuarne gli eventuali fondamenti storici.



Le ipotesi storiche
Innanzitutto è opportuno precisare che l’appellativo Re Artù può essere considerato uno pseudonimo inglese (King Arthur) di Artù Pendragon in lingua gallese, a cui corrispondono alcune varianti in altri idiomi della medesima area geografica, come Arthur Gernow in bretone e Brenin Artur in cornico.



Gli studiosi, anche se una buona parte di essi ne contesta l’effettiva portata storica, ritiene Artù un condottiero che avrebbe difeso le isole britanniche contro gli invasori sassoni, in un imprecisato periodo collocabile, in linea generale, tra la seconda metà del V secolo e la prima parte del VI, dopo il crollo dell’impero romano d’occidente.



In precedenza abbiamo fatto riferimento al nome, così come conosciuto dai posteri, anche se la questione è ancora ampiamente dibattuta. Alcuni filologi ritengono che il nome di Artù possa avere una derivazione latina e, quindi, ricollegarsi alla gens romana Artorius, di origine spuria, probabilmente massapica o perfino etrusca.



Una seconda ipotesi è quella che possa derivare da un patronimico britannico, stilizzato e latinizzato in Arthur. Ed ancora è stata considerata plausibile la ricostruzione che vedrebbe il nome del condottiero, come risultato dell’unione di due termini gallesi: arth (orso) e gwr (uomo), come espressione di una consuetudine, diffusa presso alcune popolazioni nordiche, di attribuire alcune virtù animali agli esseri umani. Suggestiva e quasi poetica, seppure minoritaria, risulta, infine, la teoria secondo la quale il nome Arthur potrebbe derivare dal termine che indicava la stella più luminosa della costellazione di Boote o del Bifolco, non lontana dall’Orsa Maggiore. E’ superfluo dire che tale interpretazione, pur non incontrando il plauso dei glottologi professionisti, piace molto agli appassionati di simbologie e di esoterismo.

Letteratura storia e pseudo-storica
Come abbiamo già detto, la storicità del leggendario Artù è fortemente controversa ed oggetto di vivaci dibattiti. I fautori della sua esistenza fanno leva su alcune fonti storiche, come la Historia Brittonum, elaborata in lingua latina nel IX secolo, quindi tra i 200 ed i 300 anni dopo gli eventi narrati. Quest’opera fu attribuita successivamente ad un prete gallese di nome Nennius, che avrebbe avuto l’intendimento di cantare le gesta del suo popolo, riconoscendo ad Artù la partecipazione a ben 12 battaglie, tra le quali l’impresa più famosa sarebbe stata quella del Monte Badon, dove avrebbe da solo ucciso circa 1000 uomini.

A parte l’evidente “epicità” del racconto in quest’ultima parte, dove emerge un ritratto del condottiero quasi soprannaturale, la stessa affidabilità storiografica della Historia Brittonum è decisamente dubbia. In alcune testimonianze storiche o pseudo-storiche dell’Alto Medioevo, la figura di Artù è del tutto assente. Ad esempio egli non è menzionato nel sermone De Excidio Britanniae, pronunciato nel VI secolo da Gildas di Rhuys che pure ricorda il massacro della battaglia presso la Montagna di Badon e nemmeno nella cronaca anglosassone che narra gli eventi delle isole britanniche tra il quinto ed il nono secolo. Stride l’assenza del leggendario condottiero, perfino in una delle opere dell’epoca, considerata più affidabile, ovvero la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, composta da Beda il Venerabile all’inizio dell’ottavo secolo.

È necessario precisare che i documenti dei decenni immediatamente successivi alla caduta dell’impero romano d’occidente scarseggiano, anzi le ripetute ondate barbariche che travolsero l’Europa, mettendo a ferro e fuoco le città, finirono con il distruggere anche importanti testimonianze preesistenti. In più, nel corso del Medio-Evo gli autori non possedevano una coscienza storiografica, già timidamente accennata in epoca ellenistica e romana, come gli studiosi moderni, tendendo a privilegiare la celebrazione epica delle imprese, a discapito della precisione sia descrittiva che fattuale.

Nonostante ciò, in epoca medioevale più matura, a partire dal XII secolo, le narrazioni riguardanti il mitico Artù cominciarono a moltiplicarsi e furono indicati diversi luoghi, come probabili scenari delle sue gesta, con prove archeologiche incerte e del tutto frammentarie. Suscitò interesse e perfino entusiasmo nel 1998 il ritrovamento della cosiddetta “pietra di Artù”, tra i resti del castello di Tintagel nella ridente penisola della Cornovaglia. I reperti archeologici dimostrarono che il sito risaliva quasi certamente al VI secolo, ma che la “pietra” non poteva essere collegata in maniera inequivocabile ad Artù. Anche la sua presunta tomba nei pressi dell’Abbazia di Glastonbury si è rivelata azzardata ed intrisa di false indicazioni.

Non mancano coloro che hanno voluto vedere in Artù la trasfigurazione di personaggi storici realmente esistiti. Tra i candidati, una menzione di rilievo merita il condottiero romano Lucio Artorio Casto, riconducibile alla già nominata gens Romana Artoria, che avrebbe prestato servizio in Britannia tra il II ed il III secolo, difendendo strenuamente uno dei più esposti avamposti del decadente impero romano.

A questa si aggiungono altre improbabili designazioni del condottiero, talvolta identificato con sovrani usurpatori, come Magno Massimo, oppure con governatori romano-britannici, come Riotamo, Ambrosio Aureliano e Athwys ap Meuring.

Il personaggio di fantasia
A parte l’inevitabile e doveroso excursus storico, trovo molto interessante ed altrettanto verosimile l’ipotesi che ritiene Artù un eroe partorito dalla fantasia del folklore di celtica memoria, o che addirittura fosse in origine una divinità celtica, la cui venerazione sarebbe caduta in desuetudine e successivamente umanizzata.

Insomma, Artù potrebbe costituire una sorta di semi-dio, una figura intermedia tra l’uomo e la divinità, presente in numerosi filoni della mitologia norrena.

A questo punto dobbiamo chiederci chi sia stato il creatore del personaggio di Artù, così come lo immaginiamo noi, in epoca contemporanea.

La sua creazione letteraria si fa risalire a Goffredo di Monmouth che compose un’opera fantastica, spacciata per storica, con il titolo latino di Historia Regum Britanniae (Storia dei re della Britannia), elaborata con ragionevole certezza nel quarto decennio del XII secolo. L’opera di Goffredo è ritenuta così importante per l’influenza successiva relativa all’immagine del personaggio di Artù, che le fonti sul personaggio sono accademicamente distinte in testi galfridiani e testi post-galfridiani.

Nei riferimenti anteriori all’opera di Goffredo di Monmouth, Artù è descritto in diverse forme che possono essere riassuntivamente ricondotte a tre filoni principali:

un condottiero imbattibile che, non solo difese la Britannia da attacchi esterni ed interni, ma anche da creature soprannaturali, come draghi, cinghiali imponenti, giganti, streghe e similari;
un condottiero a capo di altri eroi sovraumani che vive in una foresta selvaggia;
una semidivinità dell’oltretomba, così come immaginata dalla mitologia gallese, che compie assalti nel nostro mondo per liberare gli oppressi, in un tripudio di divinità pagane.
Tra i manoscritti relativi ad Artù, anteriori a Goffredo, segnalo una poesia ritrovata nel Libro nero di Carmathern, oggi confluita nella moderna collezione gallese Mabinogion, in cui si menziona un seguito del condottiero composto da ben 200 uomini ed anche le Triadi gallesi, una raccolta di brevi leggende che presentano un gruppo di tre personaggi legati ad altrettanti episodi. Ed Artù compare in alcuni testi agiografici (vite dei santi), ritenuti scarsamente affidabili, come il De gestis Regum Anglorum di Guglielmo di Malmesbury o il De Miraculis Sanctae Mariae Laudensis, dove si propone una versione del condottiero quasi salvifica ed escatologica, in chiave cristiana: egli non sarebbe morto, ma destinato a tornare un giorno per aiutare gli oppressi.

Ritornando alla già citata opera di Goffredo, che rappresenta un significativo spartiacque nella tradizione arturiana, possiamo dire, in linea generale, che si tratta di una narrazione fantastica della storia regale britannica, a partire da Bruto, un leggendario eroe esiliato da Troia, fino al re gallese Cadwaladr Fendigald, collocato nel VII secolo. Per quanto riguarda il personaggio di Artù, l’autore lo inquadra in epoca post-romana, a similitudine della Historia Brittonum e degli Annales Cambriae. La storia è quella che sarà seguita maggiormente nelle epoche successive.

Il padre di Artù, Uther Pendragon, su consiglio di Merlino e, grazie alla sua magia, prende le sembianze del nemico Gorlois e si unisce alla moglie di questi, Igraine, concependo Artù. Quando il padre muore, suo figlio Artù gli succede sul trono, fondando un vasto impero, al di là delle isole britanniche, fino a comprendere l’Islanda, le Orcadi, la Danimarca, parte della Norvegia e spingendosi perfino in Gallia, ancora sotto il controllo il romano. Secondo il racconto di Goffredo, Artù sarebbe diventato così potente da sconfiggere il condottiero Lucius Tiberius ma, preparandosi a marciare su Roma, gli sarebbe giunta la notizia che suo nipote Mordred, figlio della perfida sorella Morgana, si sarebbe impadronito del suo trono in Britannia, persuadendo altresì la moglie di Ginevra all’adulterio.

A quel punto Artù decide di rientrare in patria per affrontare il crudele nipote, poi sconfitto ed ucciso durante la sanguinosa battaglia di Camlann in Cornovaglia, dove lo stesso Artù rimane gravemente ferito. Indebolito nel corpo e nello spirito, il grande condottiero designa il parente Costantino come successore al trono, ritirandosi sulla mitica ed oscura isola di Avalon, allo scopo di ottenere la guarigione, ma da cui non sarebbe più tornato.

Gli storici, per la maggior parte, credono che la saga “arturiana” di Goffredo derivi da una sua invenzione letteraria, a parte alcuni eventi ed alcune denominazioni, come ad esempio le dodici battaglie combattute contro i sassoni, mutuate dalla Historia Brittonum e dagli Annales Cambriae.

Nei secoli successivi, in Francia e nel resto dell’Europa continentale, inizia a diffondersi intorno alla figura di Artù una vera e propria tradizione romantica, con l’emergere di altri personaggi come Ginevra, Lancillotto, Percival, Galahad, Gawain, Sir Ywain ed il progressivo ridimensionamento del ruolo dello stesso condottiero. Anche la personalità di Artù subisce una notevole rivisitazione, passando dall’eroe invincibile, che uccide mostri e nemici, al sovrano saggio e dignitoso, preoccupato della felicità e della prosperità dei suoi sudditi. A tale proposito, ricordo le cinque “romanze arturiane” scritte da Chretien de Troyes tra il 1170 ed il 1190, dove Artù si discosta notevolmente dal prototipo dell’eroe gallese e che introduce la relazione adulterina tra Lancillotto e sua moglie Ginevra. Il tema fu ripreso ed ampliato da Robert de Boron nell’opera incompiuta Perceval, dove la vicenda di re Artù si intreccia a quella del sacro graal. Nel tredicesimo secolo iniziano a comparire le opere in prosa, come il ciclo in lingua francese vulgata, conosciuto come il Corpus Lancelot-Graal, in cui il ruolo della figura di Artù subisce un ulteriore ridimensionamento, a vantaggio di Lancillotto, Galahad e Merlino.


La tradizione medioevale su Artù culmina nel testo La morte di Artù di Thomas Malory, elaborato alla fine del XV secolo che costituisce una sorta di compendio dei precedenti filoni narrativi sul personaggio. Non a caso il titolo originario era re Artù ed i suoi cavalieri della tavola rotonda, abbreviato per esigenze editoriali.

La fortuna del romanzo fu dovuta al fatto che si trattò di uno dei primi testi stampati in Inghilterra, pubblicato da William Caxton nel 1485, qualche decennio dopo l’invenzione della stampa.

In epoca umanista e rinascimentale, si assistette ad un declino di popolarità del personaggio di Artù, anche se le narrazioni delle sue imprese non furono mai completamente abbandonate. Negli ultimi anni del diciassettesimo secolo, le opere epiche Principe Artù e Re Artù di Richard Blackmore furono considerate trovate satiriche nei confronti dei sovrani Guglielmo III e Giacomo II.

Soltanto nel diciannovesimo secolo, con il movimento culturale del Romanticismo e con il gusto del neogotico, il personaggio di Artù fu rivalutato, culminando negli Idilli del re di Alfred Tennyson, esponente di spicco dell’Inghilterra vittoriana.

La passione per le leggende celtiche oltrepassò l’oceano, diffondendosi negli Stati Uniti: The boy’s King Arthur scritto nel 1880 da Sidney Lanier, nonché Un americano alla corte di re Artù, pubblicato nel 1889 da Mark Twain, sono forse tra gli esempi più emblematici dell’inventiva sincretica americana su questo tema.

In epoca contemporanea le narrazioni sulla vicenda arturiana ha assunto quasi una funzione paradigmatica per rappresentare le ideologie e le conflittualità dei contesti sociali di riferimento. In particolare ho apprezzato particolarmente Le nebbie di Avalon, romanzo pubblicato per la prima volta nel 1982 da Marion Zimmer Bradley, dove si propone una versione inedita ed antipatriarcale del mito di Artù, condita di piccanti descrizioni amorose del trio Artù-Lancillotto-Ginevra.

Negli ultimi decenni del secolo scorso, a partire dal cartone animato della Disney, La spada nella roccia, uscito nelle sale per la prima volta nel 1963, si è sviluppato un vasto filone cinematografico che ha sottolineato la già menzionata triangolazione amorosa, come i films Camelot del 1967 e Lancillotto e Ginevra del 1974, o la tradizione romantica delle gesta di Artù, come Excalibur del 1981 ed Il fuorilegge del 1978. Le ultime rappresentazioni cinematografiche degne di rilievo sono state, a mio parere, L’ultima legione nel 2007 e dieci anni dopo King Arthur- Il potere della spada. Negli ultimi anni, con il proliferare dei canali a pagamento, sono state proposte varie serie televisive sul personaggio di Artù, come Merlin (2008-2012) e Camelot nel 2011.

Miti e leggende
Intorno alla figura di Artù, è fiorita una vasta serie di miti che affondano radici in un passato più lontano.

Comincerei da un luogo leggendario, Avalon, ricordato a proposito del famoso romanzo della Zimmer Bradley. Si tratterebbe di un’isola leggendaria che la tradizione collocherebbe nella parte occidentale delle isole britanniche. Alcuni interpreti ritengono che si possa trattare di Glanstobury, un tempo interamente circondata dall’acqua e, pertanto, avente l’aspetto di un’isola. Secondo un racconto fantastico, propagandato a bella posta, per promuovere una sorta di pellegrinaggio ed ottenere denaro per la ricostruzione di un monastero, in quel luogo sarebbe stato ritrovato un grande tronco di quercia, rassomigliante ad una bara, con un’iscizione in grado di indicare la salma di Artù. Il luogo di culto di Glanstobury era collegato a Giuseppe di Arimatea, il celebre membro del sinedrio ed amico di Gesù, menzionato nei vangeli, che sarebbe approdato in Britannia intorno al 60 d.C.. Non mancano altre ricostruzioni che identificano Avalon nel Monte di san Michele in Cornovaglia, nell’isola di Man, o l’ile Aval o Daval sulla costa della Bretagna, oppure Burgh-by-Sands nel Cumberland, in quel tempo presso il Vallo di Adriano che aveva segnato il confine dell’impero romano. A queste se ne aggiunge una ancora più fantasiosa, in considerazione della distanza, riportata da Gervasio di Tilbury, secondo cui Avalon dovrebbe essere identificata addirittura con la Sicilia.

Al di là delle speculazioni sull’improbabile luogo effettivo dell’isola di Avalon, non vi è alcun dubbio che essa costituisca un luogo magico ed incantato, quasi il portale per un altro mondo od una dimensione alternativa. Non a caso, una parte degli studiosi attribuisce al termine Avalon il significato di “isola delle mele”. Questo frutto, in gallese afal ed in bretone aval, per i sacerdoti druidi, categoria alla quale apparteneva lo straordinario personaggio di Merlino, possedeva qualità soprannaturali, potendo perfino mettere in comunicazione l’uomo con il mondo degli spiriti.

Le antiche tradizioni narrative orali raccontavano che l’isola di Avalon era stata formata dal gigante irlandese Fionn mac Cumhall dopo una battaglia con un suo rivale scozzese. Nell’isola vi sarebbe stato un clima primaverile per tutto l’anno e gli abitanti non avrebbero conosciuto mai la vecchiaia, mentre i pellegrini ammalati, come lo stesso Artù, vi avrebbero incontrato un’insperata guarigione.

Risulta chiaro come il mito di Avalon sia simile ad altre credenze indoeuropee in merito all’esistenza di un’isola dei beati, situata nella parte più occidentale dell’Europa, menzionata in molti racconti come il luogo dove era rigoglioso il “Giardino delle Esperidi”, ricco di mele d’oro e di cui si rinvengono tracce anche nella letteratura greca.

Un altro luogo ben noto al ciclo arturiano è Camelot, citato per la prima volta nelle opere di Chretien de Troyes ed inserito nelle elaborazioni letterarie successive con differenziati sviluppi. L’unico autore di rilievo che tenta con l’immaginazione di localizzare Camelot è Malory, identificandola nella città di Winchester.

Alcuni hanno ipotizzati che il toponimo Camelot in realtà sia un’usura linguistica di Camulodunum, la fortezza del Colchester, ma trovandosi nell’Essex, sembra abbastanza improbabile. A ciò si aggiungono altre fantasiose designazioni, tra cui segnalo Saltwell Park, a Gateshead, il Trintagel Castel, il Dinerth Castle nel Galles meridionale o anche il Cadbury Castle nel Somerset.

I simbolismi intorno alla figura di Re Artù
Il mito di Artù e degli altri protagonisti principali, che hanno circondato la sua figura, può nascondere una lettura di carattere simbolico ed esoterico.

Uno dei simboli più significativi è la cosiddetta “tavola rotonda”, associata al gruppo di cavalieri, compagni inseparabili del grande condottiero. Secondo i racconti più ricorrenti, Artù e gli altri cavalieri si sedevano intorno ad un imponente tavolo dalla forma circolare, per discutere di problemi sociali e militari, prendendo le decisioni più importanti che riguardavano la vita del proprio popolo. A differenza dei tavoli rettangolari, più diffusi nel cerimoniale di tutte le civiltà fin dall’epoca antica, dove le postazioni occupate dai partecipanti erano schedulate a seconda del rango, della funzione e della posizione sociale, la “tavola rotonda” rappresentava un chiaro segnale di uguaglianza e di unità. Anche se ovviamente non possiamo parlare di “democrazia”, con tutto il corollario di valori ereditati dalla riflessione illuminista, culminata nella rottura epocale della Rivoluzione Francese, di certo presso la “tavola rotonda”, ciascuno aveva la possibilità di portare avanti le proprie argomentazioni e la figura di Artù emergeva, per autorevolezza, come una sorta di primus inter pares e non come un capo tirannico.

Di grande suggestione è la leggenda della “spada nella roccia”, chiamata Excalibur, per la quale il mago Merlino aveva profetizzato che soltanto chi fosse riuscito ad estrarla dalla pietra, sarebbe diventato re di Britannia. Ed ovviamente fu proprio Artù a riuscire nell’impresa, innalzandola sulla propria testa, per portarla poi nella cattedrale e depositarla sull’altare. In altre fonti la spada sarebbe stata affidata ad Artù da parte della Dama del Lago, mentre in alcune varianti il prezioso oggetto sarebbe stato consegnato a Gawain. Per capirne meglio il significato simbolico, è interessante analizzare l’etimologia del termine Excalibur, che generalmente si fa risalire a due ceppi linguistici differenti, sia quello latino che quello sassone.

In ambito latino, si fa riferimento ad un antico popolo dell’Anatolia, quello dei Calibi, considerati i primi inventori dei manufatti in “acciaio”, al punto che il termine per indicare il nuovo materiale fu chalybs (genitivo chalybis) della terza declinazione latina. Qualche studioso indicherebbe più plausibile una diversa sfumatura, sempre in ambito latino, da ex calibro,che potrebbe tradursi in maniera traslata in italiano come “perfetto equilibrio”, una capacità che di frequente sarà associata alla spada nella letteratura e nella cinematografia. Al ceppo linguistico celtico, apparterrebbe il termine Caliburn, che significa “acciaio luminoso” o anche “acciaio indistruttibile”.

In ambito esoterico la spada ha un valore bivalente: distruttivo e costruttivo.

Nel primo caso, può essere utilizzata per estirpare il male e l’ignoranza, mentre nella seconda accezione è in grado di far rispettare la pace e la giustizia.

Il simbolo della spada è molto spesso associato a quello della bilancia. Infatti, non a caso, essa è raffigurata nella carta dei tarocchi che indica la “Giustizia”.

La spada, inoltre, è rappresentata come simbolo della guerra santa, intesa non solo come lotta esteriore, ma anche e, soprattutto, come conflitto interiore, tra le pulsioni che spingono a compiere il bene e quelle che portano verso il male. Nella tradizione templare, ad esempio, la spada costituisce un frammento della croce luminosa, collegandosi direttamente alla regalità di Cristo, come Signore dell’universo.

Vi sono due immagini orientali che mi piacciono molto, tra l’altro molto somiglianti ai racconti della mitologia nordeuropea: in Giappone la spada sacra deriva dal lampo e viene estratta dalla coda del drago, mentre in Cina, come in una plastica ed onirica icona, le spade che cadono in acqua si trasformano in draghi luminosi.

E non dimentichiamo che con “spade sfolgoranti” i cherubini cacciarono Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, mettendo in pratica la volontà di Dio, mentre nell’iconografia classica di grande impatto è la spada impugnata dall’Arcangelo Michele.

Tornando alla tradizione medioevale ed, in particolare, al ciclo arturiano, la spada è l’emblema dello strumento nobile che deve contraddistinguere il Cavaliere e, nel contempo, trovare una “potente spada” era visto come un segnale di predestinazione a compiere grandi prodigi, proprio come nel caso di Excalibur.

Nelle situazioni simili alla vicenda di Artù, il condottiero non riceveva l’investitura da parte di un soggetto più potente e titolato, mediante l’imposizione delle mani o l’ostensione della spada sul capo, ma direttamente da una forza divina o, comunque, soprannaturale. Si comprende, tuttavia, come alcune consuetudini inserite nel ciclo arturiano e, pertanto, retrodatate in un periodo anteriore, appena dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, facciano parte di un patrimonio culturale di alcuni secoli dopo, quando appunto iniziarono ad essere elaborate narrazioni strutturate sulla vicenda.

Nel ciclo arturiano, un posto di assoluto rilievo è occupato dalla vicenda amorosa che coinvolge lo stesso Artù, la bellissima moglie Ginevra ed il cavaliere Lancillotto.

Quest’ultimo è menzionato nella maggior parte delle fonti, come figlio del re Ban di Benwick e di sua moglie Elaine, diventato il più valoroso ed ardito tra gli appartenenti al “circolo” della tavola rotonda, tanto da meritare il titolo di Primo Cavaliere da parte di Artù (da qui il celebre film del 1995 Primo Cavaliere, diretto da Jerry Zucker ed interpretato da Sean Connery, Richard Gere e Julia Ormond).

Nella maggior parte dei racconti, l’amore proibito tra Ginevra e Lancillotto si sarebbe consumato fisicamente in un’unica notte, nella quale sarebbe stato concepito Galahad, destinato alla straordinaria ricerca del sacro graal. In alcune versioni, il triangolo amoroso assume la forma di un quadrato, includendo anche la sfortunata fata Morgana, sorella di Artù, da alcuni descritta come perfida, da altri dolce e sentimentale, segretamente innamorata fin dall’adolescenza del prestante Lancillotto.

La relazione tra Lancillotto e Ginevra rientra nel tema dell’amore cortese, così caro alla poetica cavalleresca medioevale, tendente a descrivere un sentimento così forte e dirompente da infrangere la morale tradizionale ed i precari equilibri della corte regia.

Si tratta del canto di un amore impossibile e struggente, al punto che molti narratori preferirono omettere l’episodio della notte d’amore, per renderlo ancora di più etereo ed irraggiungibile. Nel già citato romanzo della Zimmer Bradley, considerato dal famoso Isaac Asimov una delle più avvincenti ricostruzioni arturiane, il rapporto amoroso del trio viene reso più conforme “al passo dei tempi”, adombrando anche un’inedita attrazione omosessuale tra Artù e Lancillotto, probabilmente frutto delle idee particolarmente progressiste dell’autrice, il cui comportamento ha fatto molto discutere 15 anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1999, a seguito delle accuse mosse da una delle figlie.

E non si può terminare una rassegna sulla leggenda arturiana, seppure sintetica come la presente, senza parlare di Merlino, anche se la descrizione del personaggio meriterebbe una trattazione a sé stante, in considerazione della ragionevole appartenenza alla tradizione della magia druidica e del misticismo celtico.

Come è noto, il mago Merlino è uno dei personaggi più importanti della saga arturiana, anch’egli introdotto nella cronaca dell’Alto Medioevo, Historia Brittonum.

La leggenda lo descrive come la vera eminenza grigia del valoroso Artù, di cui avrebbe tirato le fila dell’esistenza fin dal momento del concepimento, allevandolo nella fanciullezza e portandolo all’incoronazione regale. Bisogna precisare che le tradizioni gallesi più arcaiche fanno riferimento a ben due distinte figure, riconducibili al Merlino divenuto popolare nella letteratura posteriore: uno stravagante folle nordico, dal nome Myrddin Wyllt (Merlino, il selvaggio) e Myrddin Emyrs (Merlino, il saggio). Il primo, probabilmente, non c’entra nulla con le vicende arturiane, mentre il secondo potrebbe aver ispirato la già citata opera, Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, che avrebbe combinato tale figura con quella di Ambrosio Aureliano, denominandolo Merlino Ambrosio.

Con Goffredo, appunto, il personaggio di Merlino viene tratteggiato nelle sue linee essenziali così come, poi, sarà sviluppato dagli autori successivi.

Bisogna dire che il mago non è stato sempre considerato come votato al bene e di specchiata fedeltà ad Artù, in quanto numerose fonti medioevali lo descrivono come inquietante, freddo e calcolatore. A questo proposito, è particolarmente rilevante il ritratto di Merlino fornito da Robert de Boron. Il suo concepimento sarebbe stato il frutto dell’unione di una vergine con un diavolo ed il bambino sarebbe stato destinato a diventare l’Anticristo. Tuttavia, la madre per impedire il suo terribile destino, riesce a farlo battezzare appena nato, ridimensionando la sua natura diabolica in quella di “semi-diavolo”, dotato di straordinari poteri magici, di lungimirante preveggenza e con la capacità di mutare forma con estrema disinvoltura. Molti autori trasfigurarono il lato oscuro di Merlino, riversandolo nella sua allieva più promettente, Morgana che, con il tempo, sarebbe appunto diventata la sua “nemesi”.

La leggenda di Artù e dei personaggi principali della sua saga non solo rappresenta uno dei più importanti miti dell’area geografica britannica, ma dell’intera tradizione europea, come ha dimostrato la sua dilagante diffusione in Francia, in Spagna, in Italia e nella maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

Il ciclo arturiano si impone come l’emblema paradigmatico dei travagliati decenni successivi alla caduta dell’impero romano d’occidente, quando l’Europa era alla ricerca di una nuova identità culturale e politica, sospesa tra la secolare tradizione mediterranea e le nuove consuetudini delle popolazioni barbariche.

Questo caotico e complesso scenario, come già illustrato in precedenza, fu rivisitato alla luce dei costumi sociali in voga nel Medio-evo inoltrato.

Artù, Merlino, Lancillotto, Ginevra e gli altri personaggi della storia, così intrisi di elementi pagani e cristiani nel contempo, continuano a portarci in un mondo magico ed incantato, specchio multicolore di un vasto bagaglio di tradizioni e di esperienze, ciascuna figlia della propria epoca, ma plasmate in una dimensione acronica e metastorica.

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