Dopo il “paziente di Berlino” e il “paziente di Londra”, una terza persona con hiv una donna stavolta – sembra essersi liberata dell’infezione dopo un trapianto di cellule staminali del sangue, intrapreso per superare la leucemia mieloide acuta che l’aveva colpita. A differenza dei casi precedenti, la “paziente di New York” (così come è stata subito soprannominata per essere stata curata al New York-Presbyterian Weill Cornell Medical Center di New York City, appunto) ha però ricevuto un trattamento un po’ diverso: invece di una procedura di trapianto di midollo osseo “classico” con cellule staminali adulte da donatore compatibile, i ricercatori hanno optato per il trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale da donatore parzialmente compatibile. Una strada nuova che, per quanto osservato finora, comporta vantaggi da diversi punti di vista. Alcuni dettagli del caso sono stati riferiti alla Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche in corso a Denver, in Colorado (Stati Uniti).
La “paziente di New York”
L’identità della paziente è per il momento protetta. Di lei si sa che oggi è una persona di mezza età che ha scoperto di essere positiva all’hiv nel 2013. Dalla diagnosi ha intrapreso la terapia antiretrovirale per tenere sotto controllo l’infezione, ma nel 2017 ha sviluppato una leucemia mieloide acuta. La speranza di sopravvivere al cancro era un trapianto di midollo, un’opzione che non sempre è fattibile, difficile se non c’è un parente stretto compatibile che possa donare. Il fatto di essere di “razza mista”, complicava ancora di più la situazione, dato che la maggior parte dei donatori iscritti ai registri è di origine caucasica.
Il team della Weill Cornell Medicine che ha preso in cura la donna, però, ha pensato a una soluzione alternativa e ha proposto di cercare un donatore affine, anche se non del tutto compatibile, nelle bio-banche di cellule staminali del cordone ombelicale. Trovato il miglior match possibile, l’equipe ha portato a termine la procedura.
Trapianto di cellule staminali cordonali
Il trapianto a cui si è sottoposta la “paziente di New York” non è stato uguale a quello degli altri due pazienti dichiarati definitivamente liberi dall’hiv in precedenza.
Il “paziente di Berlino” e il “paziente di Londra”, sempre a seguito dello sviluppo di un tumore del sangue, si erano sottoposti a un trapianto di midollo più tradizionale in cui cellule staminali del sangue adulte vengono prelevate da un donatore compatibile e trasferite nel paziente, dopo che il suo midollo e il suo sistema immunitario sono stati azzerati. Nei casi di trapianti per persone con hiv, poi, le cellule dei donatori vengono scelte per presentare naturalmente una mutazione che le rende resistenti all’hiv, una caratteristica molto rara che si presenta con più frequenza nei donatori di origine nord-europea (1%).
Questa procedura, comunque, non è scevra da rischi, anzi. Una delle complicanze principali è la malattia del trapianto contro l’ospite, una condizione per cui le cellule del donatore trapiantate attivano una risposta immunitaria nei confronti dell’organismo ricevente e che può portare a conseguenze fatali; inoltre, prima che il sistema immunitario si ricostituisca del tutto, passa del tempo e il paziente è esposto al rischio di infezioni anche serie. Insomma, la convalescenza può diventare lunga e il trattamento, anche se ha successo, può lasciare strascichi, tant’è che non è considerato etico sottoporre a trapianto pazienti con hiv che non stiano già rischiando la vita per un tumore.
Il percorso della “paziente di New York”, invece, è stato diverso. Le sono state trapiantate cellule staminali del sangue del cordone ombelicale parzialmente compatibili ma con la mutazione naturale che le rende resistenti all’hiv, e il giorno dopo ha ricevuto cellule staminali adulte da un parente stretto aploidentico (cioè compatibile al 50%) che hanno supportato il suo sistema immunitario in attesa che le cellule staminali cordonali trapiantate, dalla crescita più lenta, rimpiazzassero completamente il midollo. Forse proprio per questa combinazione, dicono i medici, la paziente non è andata incontro a malattia del trapianto contro l’ospite e dopo 17 giorni ha potuto lasciare l’ospedale.
Sparite le tracce di hiv
Il percorso terapeutico meno traumatico non è stato il solo fattore interessante del caso. Dopo il trapianto, la leucemia della paziente è andata in remissione e così è da 4 anni. La paziente ha però continuato a assumere la terapia antiretrovirale per 37 mesi. Poi, in accordo coi clinici, ha interrotto i farmaci che servono per tenere a bada hiv.
Oggi, a distanza di 14 mesi, nella paziente non si trovano tracce di hiv, né sotto forma di materiale genetico virale né di anticorpi contro il virus. I ricercatori hanno persino prelevato delle cellule immunitarie dalla paziente e hanno tentato di infettarle con hiv in un esperimento di laboratorio, ma non ci sono riusciti. I clinici, pertanto, considerano l’infezione da hiv della paziente in remissione: non è ancora il caso di sbilanciarsi utilizzando termini come “guarigione” o “cura”, dicono.
Sorprese scientifiche
Non si sa di preciso perché le cose siano andate così bene per la “paziente di New York”. Dal punto di vista scientifico, dunque, l’approccio è stimolante e suggerisce spunti di ricerca. Che le cellule staminali cordonali riescano ad adattarsi meglio all’ospite? O nel sangue del cordone c’è anche qualcos’altro che migliora il processo del trapianto?
In ogni caso secondo gli esperti la possibilità di utilizzare trapianti di sangue del cordone ombelicale parzialmente compatibile aumenta molto la probabilità di trovare donatori adatti: circa 50 pazienti all’anno negli Stati Uniti che potrebbero trarre beneficio da questa procedura.
Anche il fatto che la procedura abbia dato buon esito in una donna è importante dal punto di vista scientifico (ma anche sociale). Sembra infatti che l’infezione da hiv abbia una progressione diversa nelle femmine rispetto ai maschi. Inoltre, nonostante più della metà dei casi di hiv nel mondo sia rappresentata da donne, solo l’11% di chi partecipa ai trial clinici sull’infezione lo è. Forse il trapianto di cellule staminali cordonali per pazienti con hiv e cancro del sangue non diventerà routine, dicono gli esperti, ma di certo il caso della “paziente di New York” apre nuove prospettive e possibilità.