I compari di fazzoletto, ovvero un uomo ed una donna, avevano il compito, durante la funzione in chiesa, di porgere le fedi nunziali agli sposi (ruolo differente era quello dei compari di fede, ossia i testimoni di nozze). Le fedi erano poggiate su un fazzoletto di seta bianca posto su di un vassoio. La seta bianca rappresentava il candore, l’innocenza, la purezza (oggi si presentano su di un piccolo cuscino bianco).
Secondo l’antica tradizione popolare (molto diffusa nell’Italia centro-meridionale ma presente anche nel settentrione), questo era il fazzoletto che risaliva al battesimo della sposa e che veniva conservato dalla madre per esser tirato fuori solo dopo il fidanzamento ed in prossimità del matrimonio.
Durante la ricorrenza di San Giovanni Battista (ecco perché si risale al battesimo) cadente il 24 giugno, in una serata davanti ad un falò, i due promessi sposi nominavano i loro “compari di fazzoletto” (spesso erano parenti più grandi). Il rito (non religioso) prevedeva che i fidanzati annodassero un lembo del fazzoletto di seta e lo consegnassero ai “compari”, i quali, a loro volta, lo scioglievano e lo riannodavano.
Il tutto avveniva mentre i quattro pronunciavano antichi versi quale sorta di giuramento di eterna amicizia (San Giovanni Battista, tra le varie cose, è anche patrono dell’amicizia). Ecco perché i compari di fazzoletto sono anche detti “Cumpare ‘e Sangiuvanne” (nuje simmo sangiuvanne).
Il rito prevedeva inoltre che nel fuoco venissero lanciate delle erbe purificatrici e che i promessi saltassero il falò affinché ne ricevessero in cambio fortuna per il futuro. La cenere delle erbe bruciate infine, veniva cosparsa sulla testa dei fidanzati (in realtà nella notte di San Giovanni si compiono tantissimi altri riti religiosi, pagani e popolari e nelle varie zone d’Italia).
La storia del “fazzoletto di seta bianca” non finisce qui perché la sua funzione più importante era quella di attestare la “purezza” della sposa.
Dopo la prima notte di nozze infatti, la sposa aveva il compito di mostrare la “prova”, ovvero che era giunta illibata al matrimonio e che aveva perso la verginità solo durante quella notte. Il fazzoletto non più “puro” che veniva chiamato “ ‘a pezza ‘e ll’onnore”, veniva esposto o consegnato alla suocera (‘a socra) affinché lo esaminasse minuziosamente.
Laddove la sposa “non poteva” dimostrare la propria illibatezza, era costume sporcare il fazzoletto con bistecche o sangue di piccione o di altri animali da cortile, anche con la complicità della propria famiglia e dei compari di fazzoletto. Quel che contava maggiormente era solo salvaguardare il buon nome della famiglia al cospetto dei consuoceri e del vicinato. Da qui, forse, il detto “mettere na pezza a cculore”, ovvero porre un rimedio utilizzando anche l’inganno, un trucco o, in casi estremi anche mezzi non leciti.
Quest’antica tradizione popolare, oggi giorno è ricordata solo nel nome “ ‘e cumpare ‘e fazzuletto” e fa riferimento ai “compari di fede”, ovvero ai testimoni di nozze.
Di Davide Brandi, dal Web.