Navigando al buio tra Sardine e potenziali reggenti, il Pd acefalo vive una giornata di surrealismo. Le Sardine sbarcano al Nazareno, accolte “con entusiasmo” dalla presidente Valentina Cuppi e dopo quattr’ore di faccia a faccia chiedono all’assemblea nazionale del 13 marzo “una Piazza Grande Bis oppure la faremo noi fuori dal Pd”, ovvero un segretario che incarni quei valori e quel campo largo a sinistra che si era manifestato nel 2019, in opposizione al Pd attuale “in balia delle correnti”. E’ la “mobilitazione di popolo” per Nicola Zingaretti: “Ci segua fuori dal partito che è diventato un pantano”, dice Jasmine Cristallo, ma lui si limita a benedirli a distanza. Da Sardine a Salmoni: contro corrente. Nelle stesse ore, intanto, i telefoni dei big ribollono nel tentativo di siglare quello che viene pudicamente indicato come “un nuovo patto politico” e significa una “tregua” tra correnti che, allo stato attuale del bilancino interno, data la reciproca elisione tra orlandiani e “riformisti di base” premierebbe un candidato di Area Dem di Dario Franceschini.
Il tutto nella convinzione che Zingaretti non ci ripenserà e nella speranza che indichi almeno se non un nome una rotta, un orizzonte, una personalità “aperta e unitaria”. Avvisa l’ex ministro Francesco Boccia: “Sento parlare di nomi, ma ragazzi, decide l’assemblea, non quattro capi-corrente”. Le magliette rosse con la citazione di De André “Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”, indossate dalle Sardine arrivano contemporaneamente alla provocazione di Beppe Grillo che si propone come Segretario Elevato per il Pd in cerca di identità. E soprattutto di vocazione (maggioritaria). “Sto un annetto, mentre Giuseppe Conte guida i Cinquestelle”, punzecchia, settiamoci per il 2050. A proposito di scegliere e farsi scegliere.
Davanti al portone ci sono una quindicina di Sardine e il doppio di telecamere. Imbracciano sacchi a pelo modello scout e alcune tende canadesi: Chiedono garanzie sull’avvio di una fase costituente, che non otterranno. Spiega Mattia Santori: “Bisogna costruire un campo largo mettendo insieme Pd, M5S, Leu, Libera, Legambiente”. Gli fa eco Jasmine Cristallo, arrivata con la sorella: “La situazione è complicata, siamo qui a rappresentare lo spaesamento dei cittadini”. Prima che i cinque prescelti salgano, si intrattengono con l’ex ministro Peppe Provenzano si aggira: “Salire anche io? Ma no. Sono venuto solo ad accertarmi che al Nazareno ci fosse qualcuno, essendo sabato…”. Le Sardine parlano di “sana rabbia politica”, di insofferenza, di realtà. Post poetico: “Fuori dai palazzi c’è un mare di bellezza e un’ecatombe di esclusi. Uscire in mare aperto fa paura, ma è l’unica via per ricostruire e allargare”. “Siamo indignati” sbotta Lorenzo Donnoli. Il bolognese Iuri Antonozzi si è portato la valigia. Il conterraneo Cristian Caricola regge la tenda: “Speriamo che non piova”. Per accamparsi, eventualmente, c’è il grande terrazzo all’ultimo piano con vista sul centro storico.
Tra Sardine e caminetti
Nella sede del partito va in scena il sequel di Occupy Pd, come ai tempi di Bersani dopo i “101” che impallinarono Romano Prodi. Intanto, si cerca freneticamente una road map per il partito decapitato all’improvviso, nel mezzo della terza ondata di pandemia con Salvini che punta a rendere il centrodestra azionista di maggioranza del governo Draghi.
Meno sette giorni all’assemblea nazionale. Il rientro in campo di Zingaretti viene considerato “un periodo ipotetico dell’irrealtà”. Dice un parlamentare che lo conosce bene: “Bisognerebbe che le correnti del Pd a cui si è rivolto Nicola accettassero di sciogliersi, di destrutturarsi in una fase nuova”. Probabilità che accada: infinitesimali. Nonostante sperino in tanti: “Nicola accolga l’invito a farsi riconfermare in assemblea per avviare la rigenerazione del partito” esorta l’europarlamentare Brando Benifei, capo delegazione a Bruxelles. Al momento è formalmente dimesso, i mille delegati metteranno all’ordine del giorno se eleggere un nuovo segretario o aprire una fase costituente. Una raccolta firme può ricandidarlo, purché sia d’accordo. Ecco perché ci si attende a breve un’indicazione, una road map, un indirizzo per l’assise in cui i suoi sostenitori hanno l’ampia maggioranza del 65-70%, che con l’area degli ex martiniani può sfiorare l’80%. Magari una personalità capace di fare sintesi come fu il “traghettatore” Guglielmo Epifani dopo l’addio di Bersani. Tra i nomi, spunta Anna Finocchiaro. In alternativa c’è il successore naturale, il vice-segretario Andrea Orlando, nella scia dei numeri due promossi come Franceschini dopo Veltroni e Martina dopo Renzi. Ma c’è un ma, grosso come una casa: accetterebbe il presidente della Repubblica Mattarella, dopo aver spiegato apertis verbis che non era il caso di andare a elezioni premature perché il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti, un ministro del Lavoro part time? Difficile. E dunque, si aprirebbe il primo rimpasto dell’era Draghi, con le complicazioni del caso.
L’alternativa alla personalità unitaria è quello l’accordone tra le varie anime: cioè la ratifica dell’andazzo denunciato da Zingaretti. Peraltro complicato di per sé: gli orlandiani non vogliono i “riformisti di base” e viceversa. Unico punto di ricaduta, l’area di Dario Franceschini. In quel caso, favorita è Roberta Pinotti, ex ministro della difesa, che taciterebbe anche le proteste per la sottovalutazione delle donne Dem. Ma è tutto in altissimo mare. Fuori dal Nazareno, tra le magliette rosse, ce n’è una double face: Dario, Sardina e presidente di un circolo Pd. Perché qui non ci sono i militanti del partito, gli chiedono? Alza le spalle: “Non sono riusciti a mettersi d’accordo tra le correnti che volevano venire e quelle che non volevano”. Un anno e mezzo fa Paolo Gentiloni twittava entusiasta: “Piovono Sardine”. Adesso Carlo Calenda arruola la loro “invasione” tra le piaghe.