E’ la Villa Pignatelli a Barra, popoloso quartiere della zona orientale di Napoli, nella sesta municipalità ai confini con San Giorgio a Cremano, inclusa nel territorio vesuviano del Miglio d’Oro alle pendici del Vesuvio.
La villa è appartenuta al patrimonio immobiliare dei duchi di Terranova insediati nel territorio della masseria dei fratelli Volpe, da parte di Diego dei Pignatelli, il quale, già proprietario del Palazzo Monteleone con ingresso in piazza del Gesù Nuovo a Napoli.
Costui acquistò la villa medesima fermo nel proposito di recuperare brani di territorio gravitanti sul circondario della Sciulia dietro il Casino del Duca per destinarli a serraglio dei Cignali a conferma di quanto riferito dallo Schipa, e che, cioè, da queste masserie, Carlo di Borbone traeva la selvaggina “per la caccia di pelo e di penne” e ne riforniva i siti reali.
Venne definitivamente circoscritta nel territorio barrese, edificata su quattro moggia di terreno ricavati dalla censuazione di suolo richiesto a Giovanna Santoriello nella terra detta Li Sfazioni, per mano dell’architetto Casimiro Vetromile nel 1730, con tattico appoggio del capomastro Diodato per la solida somma di 12.000 ducati, divenendo per tanto una residenza grande e famosa per i chioschi e fontane come è visibile dalla mappa del Duca di Noja, installate nei giardini a parterre.
La villa è di fatto preceduta da un’ambientazione chiusa da due quinte edilizie tipiche del Tagliacozzi, voluto a Croce di Sant’Andrea, come capita di vedere nelle incisioni per il Largo di Palazzo, oggi piazza del Plebiscito, nelle scene di conquista del Regno di Napoli.
Si presenta quindi, sinuosa ed ampia polilobata base-pedana sulla quale spicca la struttura a pilastri ed archi del padiglione; la stessa ritratta per i giardini delle villa confinanti con la masseria di Raffaele Veronese puntualmente acquistata nel 1747 ed inglobata nell’immobiliarità di famiglia Pignatelli, unitamente al comprensorio delle case agricole nel territorio di Cortile Casatarallo, riccamente adornati di suppellettili d’onore, amabilmente si possono riconoscere nell’incisione di Tagliacozzi Canale del 1733 che ne ritrasse una scenografia degli spazi al verde allestiti a festa grande in occasione della nomina del marchese Diego Pignatelli a Grand’Ammiraglio e Gran Contestabile del regno di Sicilia nel 1733 e Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro.
Nel 1754, a quattro anni dalla scomparsa del Marchese Diego Pignatelli, morto nel 1750 a Palermo, dal figlio Fabrizio riportato a Napoli, ivi sepolto alla chiesa dei Santi Apostoli, alla Villa, a metterci mano, il regio architetto don Nicola Tagliacozzi Canale, ricordato nelle biografie di famiglie e negli archivi storici dei Pignatelli come fatto curioso, poiché dall’epoca della fondazione della villa, 1720 e fino all’intervento di Tagliacozzi Canale, quattro anni dopo, non è stata registrata la presenza dell’architetto Sanfelice, analogamente alle vicende del palazzo napoletano.
Pur tuttavia nella Villa dei Pignatelli a Barra, il portale del palazzo dal profilo spezzato con bugnato a punte di diamante, è elemento tipicamente sanfeliciano, oggi compresso sullo spessore del muro di fabbrica.
L’incisione medesima presenta una struttura a padiglione con aquila bicipide al centro e ritratti i coronati dell’Imperatore d’Austria e della consorte sorretti dagli artigli dell’aquila imperiale accanto allo stemma dei Pignatelli ed il collare del Tosono d’Oro apparsa anche sull’arma del casato in testa all’apparato. L’epoca di proprietà di Fabrizio Pignatelli del 1761 il casato vesuviano dei Pignatelli si riordina per il pian terreno della villa che lo steso Fabrizio intese rinnovare secondo i comodi lasciati scritti all’indice del progetto realizzato dall’architetto Ferdinando Fuga, a quell’epoca impegnato sui disegni della villa Fiorita ad Ercolano per il principe di Jaci. Al secondo piano ci ricavò i mezzanini. Magazzini per lo stipo delle merci, invece per quanta riguarda il terzo e quarto piano quest’ultimo anche detto ”quarto nuovo”.
L’intervento del Fuga sulla struttura non si limitò affatto alla configurazione dell’atrio semiellittico coperto con volta a vela lunettata già presente prima del suo avvio, ma al suo fianco innestò due scale non proprio uguali per dimensioni piuttosto assai conformi entrambe per l’articolazione a pianta quadrata su quattro rampanti ad archi e voltini a vela sui ripiani.