La mafia uccide Peppino Impastato: «Arrivai alla politica nel lontano novembre ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè dalla mia esigenza di reagire ad una condizione familiare divenuta ormai insostenibile». Parole dal diario di un trentenne che con il coraggio della verità e la forza delle idee ingaggia una lotta impari contro il male, che è dentro e fuori la sua vita. Sepolta da coincidenze storiche, silenzi e omissioni, la sua storia è patrimonio della cultura della legalità.
Nascere a Cinisi, nell’estremo nord della provincia palermitana, alla fine degli anni Quaranta significa prendere presto coscienza che la libertà d’azione di un individuo è fortemente condizionata dagli interessi di “cosa nostra”. Giuseppe Impastato, Peppino per familiari e amici, se ne accorge presto, fin dall’interno delle mura domestiche. La sua famiglia vive in stretta contiguità con la mafia locale: suo padre Luigi è amico del capomafia Gaetano Badalamenti ed è cognato del boss Cesare Manzella.
Il brutale assassinio dello zio, fatto saltare in aria con la sua “Giulietta”, cui Peppino assiste all’età di 15 anni, fa esplodere nel giovane il rifiuto di quel modello di vita, da tempo covato nell’animo. In questo percorso trova un prezioso riferimento nel pittore comunista Stefano Venuti, che arriva a considerare il suo padre morale in contrapposizione a quello biologico, da lui ripudiato.
Il rapporto con Venuti dà libero sfogo alla geniale vivacità del giovane, che inizia un percorso politico e culturale di lotta contro la “legge dei potenti” e di ribellione nell’ambito familiare. A 17 anni lancia e dirige il giornalino L’idea socialista, facendosi portavoce delle istanze del proletariato, portate avanti dalla sinistra del Partito Socialista Italiano, confluita nel nuovo soggetto del PSIUP. Ciò lo porta a sostenere le ragioni dei contadini, degli edili e dei senza lavoro.
Nel 1976 la sua lotta alla mafia arriva a una svolta. Insieme agli amici più stretti fonda Radio Aut che, dal vicino comune di Terrasini, trasmette ogni venerdì la striscia Onda Pazza a Mafiopoli. È una satira feroce di quei protagonisti noti della quotidianità di Cinisi, come il boss Badalamenti e il sindaco Gero di Stefano, facilmente riconoscibili nei personaggi Tano Seduto e Geronimo Stefanini. Un modo innovativo di lotta alla mafia, che attraverso la satira porta alla luce il traffico di droga e i giochi di potere tra politica e clan del territorio.
Da quel momento viene visto come un personaggio scomodo e non c’è più nemmeno il padre a difenderlo, nel frattempo defunto. Da scomodo Peppino diventa “pericoloso” nel momento in cui decide di candidarsi alle elezioni comunali del 14 maggio 1978, tra le fila di Democrazia Proletaria. Cosa nostra è in una fase di espansione dei propri traffici e il suo eventuale ingresso nella sfera decisionale costituisce una minaccia. L’ordine è di assassinarlo e di cancellarne il ricordo.
Nella notte tra l’8 e il 9 maggio avviene il macabro ritrovamento dei suoi resti, lungo i binari della ferrovia Palermo-Trapani. Una carica di tritolo l’ha reso praticamente non identificabile se non dai documenti. I carabinieri giungono alla conclusione che si tratti di un fallito attentato terroristico o in alternativa di suicidio “esibizionista”. Poche ore dopo i tg danno la notizia del ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro, in via Caetani, a Roma. Ciononostante 264 cittadini scrivono il suo nome sulla scheda elettorale, eleggendolo simbolicamente al consiglio comunale di Cinisi.
Gli anni trascorrono ma il fratello Giovanni e la madre Felicia, supportati dagli amici di Radio Aut e del Centro Siciliano di Documentazione, non smettono di credere che prima o poi la verità verrà a galla. Le loro speranze trovano una risposta nel 1984, grazie alla ricostruzione del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici (che paga con la vita il suo impegno), in base alla quale il Giudice Antonino Caponnetto accerta l’origine mafiosa dell’omicidio.
Si riesce, tuttavia, a risalire ai colpevoli soltanto 10 anni più tardi, quando l’inchiesta viene riaperta. Le condanne arrivano tra il 2001 e il 2002: trent’anni per Vito Palazzolo ed ergastolo per Gaetano Badalamenti, entrambi riconosciuti come mandanti dell’omicidio. Peppino Impastato è oggi una figura cardine del vasto movimento antimafia e a lui si richiamano numerose associazioni ed iniziative culturali, sparse su tutto il territorio nazionale.
La sua vicenda ha ispirato il film I cento passi, uscito nel 2000 per la regia di Marco Tullio Giordana e il cui titolo si riferisce alla distanza tra la casa di Impastato e quella del boss Badalamenti.