Nel 1975, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 67 del 10 marzo 1975 della legge 8 marzo 1975, n. 39, “Attribuzione della maggiore età ai cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno e modificazione di altre norme relative alla capacità di agire al diritto di elettorato”.
In quel giorno, infatti, il parlamento italiano approvò la legge per l’abbassamento della maggiore età dai 21 ai 18 anni. Aldo Moro, Luigi Gui, Oronzo Reale e Giovanni Leone sono stati gli artefici del provvedimento grazie al quale, in una notte, milioni di giovani si ritrovarono adulti, pronti per votare alle elezioni del mese di giugno. Erano le elezioni in cui si sospettava il sorpasso del Pci sulla DC (che poi non avvenne, ndr) e le analisi dei flussi elettorali dimostrerà che quei milioni di nuovi elettori portarono in ogni caso una grande scossa nel panorama politico, destinato a mutare in maniera radicale.
La ridiscussione del concetto di maggiore età, però, non equivaleva solo al semplice diritto di voto. Contemporaneamente veniva abbasata l’età per conseguire la patente e anche quella per vedere i film vietati ma, con il tempo, la tendenza alla riduzione di età non è stata lineare. Gli anni successivi si sono contraddistinti da un duplice movimento: mentre da un lato si innalzava l’età per comprare sigarette, alcolici o fuochi pirotecnici dall’alto si è abbassata quella per votare alle primarie dei partiti o per scegliere se mostrare o no ai propri genitori i voti conseguiti a scuola.
Oggi, invece, il tema rimane caldo specialmente sul diritto di voto o sulla patente di guida con molte pressioni per ridurre ulteriormente l’età ai 16 anni. Certo è che, per i giovani, quella che in scienza politica si definisce “la salienza della prima elezione” oggi è decisamente calata ed è diventato forse più importante il potersi intestare una sim del telefono cellulare o, ancora, il conseguire la patente.